Esplorare nuovi mercati: cosa esportare in Cina?
Molte aziende puntano ad espandersi all’estero, ipotizzando di trovare dall’altra parte un mercato potenzialmente interessato ai propri prodotti. Se anche tu vuoi approntare una strategia di internazionalizzazione per la tua attività e sei indirizzato verso l’Oriente, scopri in questo articolo cosa esportare in Cina per avere successo.
Premessa doverosa: prima di iniziare un investimento oneroso è meglio realizzare un’analisi dei mercati potenziali, per non perdere tempo in azioni su mercati non idonei alla commercializzazione del nostro prodotto.
Cosa piace in questo momento in Cina
Il settore dell’automobile è il motore di traino di tutto l’export italiano verso la Cina.
A dirlo sono i dati Istat secondo i quali, per il 2016, si è avuta una crescita del 56,84% rispetto all’anno precedente, per un mercato che vale più di un milione di euro. E i dati 2017 fanno intravedere un futuro ancora più proficuo: secondo l’ICE nel periodo gennaio/agosto sono già stati esportati in Cina autoveicoli, rimorchi e semirimorchi per un totale di 1.315.721 euro (+147% rispetto allo stesso periodo del 2016).
Strettamente collegato a questo settore c’è quello della robotica, vera rivelazione dell’export internazionale negli ultimi anni. L’Italia è il terzo esportatore mondiale di macchinari automatizzati, con una crescita di 290 milioni di dollari per quanto riguarda il fatturato estero 2016.
Esportare in Cina, per le aziende che producono robot per l’automotive e l’elettronica, potrebbe rivelarsi una grande occasione per lo sviluppo internazionale. La Cina copre da sola il 30% della domanda e si afferma quale principale acquirente di robot industriali con 87 mila nuove macchine installate nel 2017 (si pensi che Europa e Stati Uniti, insieme, raggiungono quota 97.300 forniture). Se anche la tua azienda produce robot e stai pensando di espandere questo business fuori dai confini nazionali, la Cina potrebbe essere il mercato obiettivo su cui puntare.
Cosa conviene esportare in Cina se operi nel settore agroalimentare
Con un incremento dell’8% nel primo trimestre 2017, il settore agroalimentare si sta rivelando un vero traino per il Made in Italy all’estero.
L’export di prodotti freschi del comparto agricoltura e dell’alimentare ha registrato, rispettivamente, un +7,9% e un +13,3% rispetto a marzo 2016. Ottimi risultati vengono anche dal vino, che ha generato un fatturato di 5,6 miliardi di euro nel 2016, con un +4,3% rispetto al 2015. Pur non essendo il primo Paese destinatario delle nostre esportazioni vinicole, la Cina è un mercato in forte crescita. Lo scorso anno ha portato nelle casse delle cantine italiane 120,2 milioni di euro, con un aumento record del 32,7%.
La distanza da Paesi come Stati Uniti, Germania e Regno Unito si fa sentire, soprattutto a causa del ritardo nella promozione dei nostri prodotti in terra cinese. E siamo ancora lontani dai 310 milioni di euro che il solo Bordeaux francese riesce a fatturare con i cinesi, ma le prospettive per una crescita a doppia o tripla cifra ci sono tutte. Attenzione, però, a non incappare nell’errore di considerare la Cina come un mercato unico. Il Paese è composto da tante macro aree diverse, ognuna con la sua cultura e i suoi gusti.
Per vendere vino all’estero è fondamentale individuare la zona più adatta in base alla tipologia di prodotto offerto (vino rosso, vino bianco, spumante, prosecco.. eccetera), senza dimenticare di raccontare la propria storia. La cultura cinese, infatti, è molto attratta dallo storytelling aziendale, più che dalle pure e semplici caratteristiche del prodotto.
Esportare in Cina: punti critici e strategie di internazionalizzazione
Qualunque sia il tuo settore di appartenenza, vendere prodotti italiani all’estero non è una cosa semplice. A volte, è anche estremamente complicato.
Secondo le elaborazioni della Fondazione Italia Cina e del CeSIF, le principali criticità che emergono dall’esportare in Cina riguardano:
- La violazione dei diritti di proprietà intellettuale (23,76%)
- Le differenze linguistiche (22,21%) e culturali (20,21%)
- La difficoltà di individuare partner locali appropriati (18,92%)
- La burocrazia e l’ottenimento delle licenze (16,67%)
Si tratta di aspetti molto delicati, che spesso un ufficio estero interno all’azienda non è in grado di affrontare da solo, perché manca delle competenze necessarie. Per questo, affidarsi a un Temporary Export Specialist, un manager a tempo che lavori in outsourcing per e con l’azienda in molti casi è la scelta più conveniente, in termini strategici ed economici. Rispetto a un ufficio dedicato a tempo pieno, il TES® racchiude in un’unica figura professionale competenze, metodo e strumenti all’avanguardia che ti aiuteranno a ottenere risultati concreti in tempi brevi.
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