Manager a tempo nelle Pmi: così volano gli ordini esteri
Per ora sono già quattromila: le imprese che per l’export scelgono un manager a tempo non sembrano essere un fenomeno effimero, tutt’altro.
L’iniziativa dei voucher concessi dal ministero dello Sviluppo in due edizioni, 2015 e 2017, con oltre 60 milioni complessivi ha messo in moto un ecosistema che prima coinvolgeva pochi pionieri. Obiettivo: aumentare ordini e quote di export. In prevalenza si tratta di piccole imprese con ricavi tra 1-2 e 30-40 milioni. Nel 40% dei casi hanno una quota sull’estero inferiore al 10%.
In maggioranza aziende già presenti in almeno un mercato, che da esportatori saltuari vogliono diventare permanenti. Le debuttanti invece sono solo tra il 10 e il 20%. E forse questo è un punto debole: lo strumento, se sarà rinnovato, dovrà aiutare di più a creare nuovi alfieri dell’export.
Co.Mark ha aperto la strada già molto prima, alla fine degli anni 90. Oggi fattura 18 milioni tra Italia e Spagna e ha un centinaio di export specialist che vanno nelle aziende. «Spesso – osserva l’AD Massimo Lentsch – gli imprenditori hanno un approccio troppo passivo, pensano possa bastare un sito per attrarre clienti. Invece devono avere la valigia sempre pronta, a caccia di clienti. Per questo selezioniamo manager che siano innanzitutto dei venditori e siano “cattivi”, dei veri gladiatori». I Tem lavorano in azienda in genere da 1 a 3 giorni a settimana. In alcuni casi le società propongono un servizio da remoto, che ha però riscontri meno positivi. Quando il progetto dell’impresa è ben strutturato, il contratto è almeno biennale o triennale.
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